IL GIUSTO APPROCCIO AL LAVORO OLISTICO
INTERPRETARE L’ESITO DI UN TRATTAMENTO AL DI LÀ DELLE APPARENZE IMMEDIATE
Una delle caratteristiche fondamentali di chi è aperto anche ai metodi cosiddetti “olistici” rispetto a chi, invece, crede unicamente alla medicina e alla scienza “ufficiali”, è una sottile ma radicata disposizione d’animo che ci riporta ad una concezione unitaria dei diversi aspetti dell’essere umano e della vita in generale.
L’approccio puramente materialistico considera il corpo umano alla stregua di una macchina, da sottoporre ai tagliandi periodici e da portare in officina in caso di guasto. Al ritiro del veicolo, si pretende giustamente che la macchina funzioni perfettamente e, magari, che il guasto non si ripresenti più. Inutile dire che nel caso del corpo umano le cose non stanno esattamente così, e questo ormai lo capisce bene anche la medicina cosiddetta ufficiale. Tuttavia, nonostante dal punto di vista culturale siano tutti un po’ più flessibili su questo argomento, rimane in moltissimi l’intima convinzione che, dopo una cura o un trattamento di qualsiasi tipo, ci si debba necessariamente “sentire bene” o “avvertire un miglioramento”.
Ma bastano alcune semplicissime riflessioni a convincerci che non può essere così.
Nell’elevarci dalla visione fisico-materiale a quella energetico-spirituale dobbiamo constatare come qui ogni cosa risulti più intimamente legata a tutte le altre… come i confini tra “due cose” non siano mai altrettanto netti rispetto a come possono esserlo tra due oggetti fisici. Esiste una rete di sottili nessi che interconnettono non solo le parti e le funzioni del nostro corpo ma, anche e soprattutto, noi stessi in relazione alle persone che ci circondano, ai nostri pensieri, ai pensieri altrui, alle azioni che compiamo e che abbiamo compiuto, alle vicissitudini quotidiane… al cosmo intero.
In questa ottica allargata, i concetti stessi di “benessere” o di “miglioramento” devono essere completamente rivisitati e reinterpretati. Mi capita sovente di dover convincere (non tanto le persone che si rivolgono a me per un aiuto, quanto me stessa!) dei motivi per cui un lavoro non sarebbe andato “come ci si poteva aspettare”.
Ma allora, qualcuno dirà, come facciamo a distinguere quello che ci “fa bene” da quello che ci “fa male”? Tre sono, a mio parere i criteri che possono guidarci in questa difficile opera.
Primo, quel sano e genuino “istinto” che tutti noi possediamo, anche se a volte ottenebrato dai nostri preconcetti culturali… un istinto che dobbiamo abituarci a coltivare con l’ascolto attento di noi stessi, della nostra storia personale e del mondo che ci circonda.
Secondo, l’abitudine a non accanirci sul riscontro immediato, sul malessere temporaneo, sul puro sintomo. Cosa nasconde un malessere? Di che cosa vuole parlarci la “malattia” o l’evento avverso? Quale passaggio vuole stimolare in noi? Dobbiamo avere la pazienza e la capacità di scoprire passo per passo la direzione in cui ci stiamo muovendo… sviluppando l’interiore consapevolezza che in definitiva, è utile solo e soltanto quello che ci fa progredire.
Terzo (ma non certo ultimo per importanza), sviluppare la consapevolezza che ogni volta che “chiediamo” un aiuto ad un Operatore, non ci stiamo rivolgendo solo ad una persona fisica ma, per suo tramite, ad una schiera di Entità di Luce che sanno vedere molto più lontano di noi e che sono pronte ad aiutarci a patto che ci impegniamo in un lavoro di ricerca interiore, il cui scopo non sia unicamente il liberarsi di un fastidioso mal di testa o l’ottenere una gratifica al lavoro, giusto per citare due esempi.
Oscar Wilde scrisse: “Attento a quel che desideri, perché potrebbe avverarsi”… A me piace pensare e credere che la preghiera, se ben formulata, retta nelle intenzioni e utile per il vero progresso personale, venga sempre esaudita.
(Rif.: ESPIRA B017)